18 marzo 2006

Dove non arriva il muro.........arriva Kadima!

Sono almeno duemila i palestinesi (e i loro familiari) che risiedevano nella Valle del Giordano ai quali le autorità di occupazione israeliane non consentono di far ritorno nella loro terra, allo scopo di confiscare le loro terre - centinaia di ettari - da destinare alla costruzione di insediamenti colonici e basi militari. Lo ha rivelato due giorni fa lo stimato giornalista israeliano Akiva Eldar, in un articolo pubblicato dal quotidiano di sinistra Haaretz.
Il giornalista israeliano ricorda nel suo articolo che il procuratore generale dello stato, Menachem Mazuz, qualche settimana fa, rivolgendosi ai componenti della commissione statale che indaga sulle violenze (tra coloni e poliziotti) esplose durante lo sgombero dell'avamposto colonico di Amona (Cisgiordania), aveva definito «un furto» la creazione ed espansione di insediamenti ebraici su terre private palestinesi. L'Amministrazione militare in Cisgiordania peraltro ha consentito ad agricoltori ed aziende private israeliane di occupare parte delle terre confiscate ai legittimi proprietari palestinesi, nonostante la stessa legge che regola la cosiddetta «proprietà degli assenti» vieti l'utilizzo per suo civile dei terreni requisiti.
La Valle del Giordano, che in buona parte ricade all'interno della Cisgiordania palestinese, viene descritta come una sorta di fascia di sicurezza orientale di Israele nel nuovo piano di «disimpegno unilaterale» illustrato dal premier ad interim e leader del partito Kadima, Ehud Olmert. Il primo ministro israeliano ha affermato che Israele non rinuncerà alla territorio sul quale passa la superstrada che collega Gerusalemme Est alla Valle del Giordano fino a Gerico, tagliando in due la Cisgiordania. I palestinesi, in caso di attuazione concreta di questo piano, per recarsi da nord a sud della Cisgiordania dovranno costruire un tunnel sotterraneo. L'ennesima conferma che è destinata ad essere cancellata quella continuità territoriale posta come condizione essenziale affinché la Palestina diventi stato.

Riassunto di un articolo preso da Il Manifesto del 16 marzo. L' inesorabile costruzione del muro rischia di distrarci dal fatto che anche i confini ad est di un' eventuale Stato Palestinese, come sempre in barba a tutte le risoluzioni dell' ONU, vengono compromessi dalle "esigenze di sicurezza" israeliane

15 marzo 2006

Ristrutturazioni

Nell'abbuffata mediatica del confronto di ieri tra Berlusconi e Prodi, è passato quasi inosservato un evento tanto vergognoso quanto paradigmatico portato a compimento dall'esercito israeliano: l'incursione di ieri dell'IDF nel carcere palestinese di Gerico per prelevare un recluso, Ahmed Sadaat. Cannonate: un modo radicale di rinnovare le strutture carcerarie di una città teoricamente zona A secondo gli accordi di Oslo. Durante le opere di "ristrutturazione" di ieri sono (come scriverebbe il giornalismo italiano) "rimaste morte" due persone, guardie palestinesi che cercavano di fare il proprio lavoro, diversamente da quello delle guardie-delle-guardie inglesi e US che si sono eclissate molte ore prima dei cannoneggiamenti (inside trading?).

Palestinians hold up their ID cards as they walk out of a jail during an Israeli army raid on the jail in the West Bank town of Jericho March 14, 2006. REUTERS/Ammar Awad


Israeli soldiers stand guard over Palestinians taken prisoners during a raid on a jail in the West Bank town of Jericho March 14, 2006. Israeli forces blasted their way into a West Bank prison on Tuesday to try to seize a top Palestinian militant accused of killing an Israeli minister, storming in after U.S. and British monitors withdrew. REUTERS/Oleg Popov

Nel 2002 pressioni eufemisticamente "politiche" (l'assedio e cannoneggiamento israeliano della sede dell'Autorità Palestinese, la Moqada di Ramallah) chiedevano all'Autorità di prendere in custodia senza processo Ahmed Sadaat, dirigente del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (PFLP), in cambio della libertà di movimento dell'assediato Yasser Arafat.
He was moved to Jericho under international supervision in a deal to lift Israel's siege of Yasser Arafat's Ramallah compound in May 2002.

14 marzo 2006

Olmert? Non ha detto nulla di nuovo

dal Manifesto del 12-03-06

Olmert? Non ha detto nulla di nuovo
ZVI SCHULDINER
Un'intervista del Primo Ministro provvisorio Olmert al Jerusalem Post sembra aver suscitato reazioni molto più accese fuori da Israele che nel paese. Quanti si sono lasciati entusiasmare dalla demagogia del premier Ariel Sharon e dalla sua ritirata unilaterale da Gaza dovrebbero ripensare alcune questioni fondamentali sulla pace in Medio Oriente. Converrebbe che tutti pensassero bene agli eventi di questi giorni, giacché la politica israeliana, il dogmatismo di Hamas, la politica cieca di Bush e dei suoi accoliti minacciano di lanciare altra benzina sul fuoco della violenza israelo-palestinese. Vorrei «difendere» Olmert. Il Primo Ministro provvisorio di Israele non ha detto nulla di nuovo. Olmert non ha fatto che confermare quanto abbiamo scritto in numerose occasioni sul manifesto: il ritiro unilaterale da Gaza faceva parte di un piano strategico. Per Sharon, Olmert e i loro alleati la vittoria di Hamas è un vero regalo, poiché sembra confermare la felice tesi secondo cui «non ci sono partner possibili».

La ritirata unilaterale da Gaza e la continuazione di questa linea non puntavano a una pace vera, ma a creare le condizioni perché Israele possa esercitare una politica unilaterale con il nulla osta delle potenze occidentali. Ciò significa neutralizzare i piani europei o americani che costringerebbero Israele alle frontiere del 1967, e non rispettare la condizione essenziale di qualunque accordo di pace: ovvero, che non può basarsi su un'imposizione unilaterale dell'occupante. Se questo accadrà, si creeranno i presupposti per la prossima esplosione. La storia è piena di esempi.

Il governo israeliano e i suoi obbedienti esperti militari possono continuare a cianciare sul pericolo di sterminio rappresentato da Hamas, mentre Israele riposa su un esercito potente, un arsenale atomico, e un'economia mille volte più forte. Il terrore di Hamas, condannabile sul piano morale e politico, è lungi dall'essere il mostro che può provocare la scomparsa di Israele, come vanno dicendo al mondo i portavoce del governo israeliano.

La propaganda israeliana pone un serio problema al cittadino pensante, al pacifista coerente. Perché mai tanti credono a storie del tutto infondate? Il pensiero politico occidentale, la stampa, i mezzi di comunicazione sono stati invasi, soprattutto dopo l'11 settembre 2001, dagli stereotipi più strampalati della destra americana. La paura ha trionfato e le concezioni basilari del liberalismo sono state schiacciate dalla linea dura che invita alla forza contro «i mostri mondiali che minacciano la sacra civiltà occidentale e cristiana». Credevamo che i diritti dello stato liberale moderno facessero ormai parte dello sviluppo storico e non ci siamo accorti che bastava molto poco a limitarli o cancellarli.

Non c'è povertà, l'imperialismo è un'invenzione dei dogmatici, lo sfruttamento quotidiano di due miliardi di esseri umani non conta, gli enormi capitali investiti per foraggiare i signori della guerra garantiscono la nostra sicurezza. I crimini, la tortura, le decine di migliaia di vittime
dell'aggressione americana sono il prezzo della libertà e della sicurezza.

Bush mette il mondo a ferro e fuoco e noi, qui, in Medio Oriente, più modesti, con tutto il peso del passato, contribuiremo al nostro piccolo incendio in questo perenne inferno mediorientale. Sagaci politici parleranno di sicurezza e i popoli - sì, i popoli - israeliano e palestinese continueranno a pagare il prezzo terribile del fondamentalismo, delle loro guerre.

O dei fondamentalismi. Hamas dovrà decidere se il problema è come spedire altri giovani nelle braccia delle settanta vergini che li attendono in Paradiso dopo il suicidio esplosivo, grazie al quale avranno ucciso una o due o dieci decine di israeliani. Oppure, se la linea pragmatica esige ciò che Arafat e Abu Mazen e altri hanno considerato percorribile, un compromesso storico fra israeliani e palestinesi.

E gli israeliani che andranno alle urne alla fine del mese dovranno pensare bene al proprio fondamentalismo, che resta l'ostacolo principale a una politica di pace. Il presunto pragmatismo di Sharon o dei suoi successori è solo una ricetta per nascondere l'occupazione. Uno stato palestinese mutilato, finzione di bantustan controllati dall'occupante, non è la pace.

Le ricette unilaterali mascherano l'occupazione. Gli israeliani non credono più a queste panzane. La maggioranza capisce che bisogna lasciare i
territori, che Gerusalemme ha bisogno di un'immaginazione più fervida. Coloro che si facevano delle illusioni con Sharon e i suoi si sono forse domandati che cosa stesse succedendo nella «eterna e unificata capitale di Israele»? Coloro che hanno visto nel Muro dell'Odio una barriera di sicurezza, si sono forse domandati quanta sofferenza, miseria, sfruttamento, dolore e odio crea questo muro? Che cosa ci può essere di sicuro nel relegare nella disperazione il bambino che va a scuola, il contadino che perde le sue terre, colei che deve partorire sotto il fuoco dei soldati, chi perde la possibilità di guadagnarsi il pane?

Olmert non ha detto nulla di nuovo, ma va preso sul serio. L'unilateralità israeliana ci porta una volta di più alla guerra. E i settori più pragmatici
e politici di Hamas dovrebbero spiegare se sono disposti a cercare un'altra strada o se continueranno a essere alleati simbiotici del bellicismo israeliano.

13 marzo 2006

Olmert "disperato"

Da "La Stampa del 11/3/2006 Sezione: Esteri Pag. 11.

«Israele chiama “pace” l’intenzione
di Fiamma Nirenstein

GERUSALEMME
È frutto di un misto di disperazione e di speranza la promessa di Ehud Olmert di arrivare a disegnare i confini permanenti per Israele da qui ai prossimi quattro anni. Disperazione, perché contiene l’idea che sia perduta, almeno per ora la possibilità di avere un partner per la pace da quando Hamas ha vinto le elezioni palestinesi. Speranza, perché conserva pur tuttavia un profumo di pace l’idea che i palestinesi possano accettare spazi larghi e contigui, anche se non quelli del ’67, in cui costruire indipendenza e Stato.

I passi recenti dei Olmert dettati dalla "disperazione":

- annessione della vasta area già mangiata dal muro di sicurezza;

- annessione della riva destra del fiume Giordano;

- ampilamento di 3500 abitazioni del grande insediamento ONU-abusivo di Maale Adumim che presto taglierà in due la West Bank;

- frantumazione a colpi di muro della comunità palestinese di Gerusalemme, rea di poter essere un pericoloso fardello democratico per l'auspicata nuova capitale di Israele.

mi sento di commentare che tutto ciò non ha il sapore di "disperazione", quanto piuttosto quello della supponenza di chi vuole tagliare qualsiasi dialogo a priori; l'ipocrita "speranza" che la giornalista italiana cita, non è mai apparsa sulle labbra del primo ministro israeliano. Ma forse mi sbaglio.
L'articolo prosegue...
Olmert dice che cambierà il percorso del recinto di difesa, che al di là non resterà neppure un israeliano, che in sostanza continuare ad occupare zone in cui la presenza demografica palestinese ha peso, costa moralmente, internazionalmente, economicamente. Olmert pensa che il modo di farlo sia ritirarsi, dopo Gaza, dai grandi pezzi della Giudea e della Samaria in cui vivono i palestinesi, e tenersi le zone in cui esistono grandi nuclei ebraici. Il sogno di Olmert, che poi è quello di Sharon velocizzato e drammatizzato in vista delle prossime elezioni del 28 marzo, ha sulla sua strada molti ostacoli. Il primo lo ha subito segnalato con una dichiarazione infuriata Khaled Mashaal il grande capo di Hamas, quello che risiede a Damasco: «Questo non è un piano di pace, ma una dichiarazione di guerra che darà a Israele la possibilità di tenersi una grande parte del territorio della Cisgiordania e di Gerusalemme e che ritarderà il diritto al ritorno (dei profughi del ‘48 e discendenti ndr)». Ma Mashaal sa bene che Israele, già trovatosi di fronte alla vittoria a sorpresa di un nemico irriducibile che ha fatto di Gaza una rampa di lancio per missili Kassam, e che considera i Territori una zona franca di rapporti molto attivi con l’Iran e la Siria, ha intenzione di gestire con cautela ulteriori ritiri territoriali. Tuttavia, Olmert viene rappresentato negli spot televisivi elettorali del Likud come uno struzzo che nasconde la testa nella sabbia: Hamas vuole distruggere Israele, e Kadima gli regala territorio e denari, esclama il partito di Netanyahu. Ma tutti sanno che le zone dell'aeroporto, di Gerusalemme, delle grandi città costiere come Haifa o Acco possono diventare bersagli quotidiani come Ashdod o Ashlelon, disgraziate città vicine a Gaza, dei missili Kassam (anche ieri ne è piovuto uno). Quindi, Olmert cercherà di tracciare la separazione in modo che non diventi un suicidio. La scelta storica è molto delicata: separarsi, senza suicidarsi. E quindi non ha nessuna intenzione, come del resto non l’avevano Sharon, Rabin e Barak, di consentire il ritorno dei profughi e dei loro discendenti che creerebbero un assalto demografico destinato a distruggere la maggioranza ebraica. La sua idea è che il confine debba correre lungo un’effettiva linea di separazione demografica dai palestinesi lasciando interi i blocchi di difesa del centro, per difendere Gerusalemme e il centro di Israele da attacchi palestinesi e internazionali. Il Giordano, dice Olmert resterà il confine di Israele, ma per ora non parla della Valle del Giordano.
[lo ha fatto invece il #5 di Kadima, Avi Dichter, ndr]
Su Gerusalemme, da una parte dice di volerla conservare intera, ma dall’altra di fatto già accenna alla possibilità di lasciar perdere i quartieri arabi che di fatto costituirebbero un pericolo per la capitale. Olmert cerca una linea pratica per ritirarsi. Le grandi unità di Maale Adumim, del Gush Etzion e della zona di Ariel sarebbero dentro il confine. Gerusalemme protetta, ma non biblicamente santificata. La destra è in fiamme, e anche la sinistra: la seconda, perché piamente quanto astrattamente immagina che si debba cercare un partner per concordare il ritiro. Olmert risponde che sarebbe bello, ma che Abu Mazen ormai è prigioniero di Hamas. E la destra dice che Israele consegna mani e piedi a Hamas una vasta zona in cui si prepareranno attentati continui. Ognuno ha le sue obiezioni, ma per ora la posizione di Olmert sembra bene accetta dagli israeliani: Kadima è sceso di un seggio, ma è sempre largamente preferito.


Ma vediamo in sintesi come Fiamma Nirenstein stila il suo pezzo...

gli "irriducibili" palestinesi si "scatenano", "bersagliano le città costiere", si "infuriano", "imprigionano Abu Mazen" e (sic) minacciano di "assaltare demograficamente" Israele.

Olmert "sogna", "nutre speranze", "evita il suicidio" e, come apice della violenza, "lascia perdere" i quartieri arabi di Gerusalemme.

Insomma... un pezzo di "sano" giornalismo.