24 marzo 2006

La forza di dire No

di Jeff Halper

Trad. dall'articolo originale

Il nuovo governo di Hamas di è insediato al potere dell’Autorità Palestinese; ci possiamo chiedere: Che cosa ha portato una popolazione, la più secolare delle genti arabe, a votare Hamas? La ragione di un mera protesta per l’inefficacia della politica di Al Fatah nei negoziati non va molto lontano. Mentre hanno avvertito Hamas che il loro voto non costituisce un mandato per imporre una teocrazia in stile iraniano, i palestinesi hanno colto l’unica opzione rimasta ad un popolo senza potere quando tutte le altre strade per il risarcimento sono state a loro chiuse: non-cooperazione.
Gandhi ha sintetizzato: “Come si può essere forzati ad accettare la schiavitù? Io semplicemente rifiuto di fare la merce del padrone. Può torturarmi, rompermi le ossa in atomi e persino uccidermi. Avrà il mio cadavere, non la mia obbedienza. Alla fine, perciò, sono io ad essere il vincitore e non lui, perché avrà fallito nel farmi fare quello che voleva essere fatto. La non-cooperazione è diretta non contro i governanti, ma contro il sistema che amministrano. Le radici della non-cooperazione non affondano nell’odio, ma nella giustizia.”
La non_cooperazione, forse lo strumento più potente della resistenza non violenta, nasce in situazioni in cui l’oppresso non ha altre strade per raggiungere la libertà ed i diritti. Dal momento che sono la comunità internazionale, gli USA, Israele e, sì, Fatah, che hanno chiuso tutte le strade del risarcimento, essi portano le “colpa” della vittoria di Hamas. E’ a loro che il messaggio dell’elettorato palestinese è diretto: “all’inferno, ma con tutti voi”.
All’inferno con la comunità internazionale, che ha bloccato gli appelli dei palestinesi alle leggi internazionali ed alle convenzioni dei diritti umani. Se fosse stata applicata la quarta convenzione di Ginevra, per prima cosa Israele non avrebbe mai potuto costruire la sua occupazione. La legge internazionale definisce occupazione come una situazione militare temporanea che può essere risolta solo attraverso negoziati. Quindi ad una Potenza Occupante come Israele è proibito intraprendere azioni unilaterali che rendano il suo controllo permanente. Inoltre le sue basi militari ed ogni singolo elemento dell’occupazione israeliana sono palesemente illegali: gli insediamenti e la costruzione di un sistema esteso di arterie stradali ad esclusivo uso israeliano che connettono Israele agli insediamenti, l’estensione del sistema legale e di pianificazione all’interno delle aree occupate palestinesi, il saccheggio di acqua palestinese ed altre risorse ad uso israeliano, la demolizione di case e l’esproprio di terre palestinesi, gli attacchi militari alla popolazione civile – per citarne solo alcuni. Persino quando la costruzione da parte di Israele della “barriere di separazione” fu giudicata illegale dalla Corte di Giustizia Internazionale dell’Aia e la sentenza ratificata dall’Assemblea Generale, non fu fatto nulla per fermarla.
All’inferno con gli Stati Uniti, che chiusero i negoziati sulla strada del risarcimento dei diritti dei palestinesi per permettere ad Israele di rendere la sua occupazione permanente. Proprio all’inizio del “processo di pace” di Oslo, vista l’urgenza di Israele, gli USA riclassificarono le aree palestinesi da “occupate” a “disputate”, rimovendo così la legge internazionale dalla base negoziale e togliendo la terra da sotto i piedi dei palestinesi. Se la legge internazionale fosse stata rispettata, l’occupazione sarebbe finita sotto il peso della sua stessa illegalità. Ma dal momento che la forza divenne l’unica base negoziale, Israele schiacciò facilmente i palestinesi. Fino ad oggi i palestinesi non hanno nulla da cercare nei negoziati. Con gli USA che appoggiano l’unilateralismo israeliano, con il veto USA che neutralizza l’ONU come strada efficace per il risarcimento e con la passività europea, sono stati lasciati alla deriva.
All’inferno con Israele, che ha chiuso persino la possibilità di uno stato Palestinese fattibile a causa della sua espansione nelle aree palestinesi. Il mondo ignorò la “generosa offerta” palestinese ad Israele: il riconoscimento entro i confini del 1967 in cambio di uno stato Palestinese nei territori occupati. In altre parole, un Israele sul 78% della Palestina storica che avrebbe visto i palestinesi, oggi maggioranza del paese, accettare uno stato su solo il 22%. Israele è ora fermo, con l’appoggio americano e la complicità internazionale, a rendere la sua occupazione permanente e ridurre i palestinesi in uno stato prigione spezzato in cinque “cantoni”, tutti sotto il controllo israeliano. Niente confini, niente libertà di movimento, niente acqua, niente economia fattibile, niente Gerusalemme, niente possibilità di offrire un futuro di speranza alla traumatizzata, brutalizzata, sottoistruita, sottoqualificata, impoverita gioventù palestinese.
E all’inferno con Fatah che, oltre ad innescare la corruzione, non ha efficacemente portato avanti l’agenda nazionale dei palestinesi per l’autodeterminazione. L’Autorità Palestinese condusse i suoi affari lontano dalla gente, fallendo nel fornire appoggio morale e materiale alle vittime degli attacchi di Israele ed alle politiche delle demolizioni di case. Gran parte dei palestinesi non ha votato Hamas (solo il 44% lo ha fatto), così la porta non è stata chiusa per Fatah che, molti palestinesi sembrano sperare, imparerà la lezione dalla sua sconfitta.
In effetti, il voto per Hamas non è stato per niente un chiudere la porta, ma una razionale, intenzionale e potente affermazione di non-cooperazione in un processo politico che sta solo portando alla prigionia palestinese. Hamas dopotutto sta per fermezza, sumud, il rifiuto della sottomissione. I palestinesi stanno dicendo che questo conflitto è troppo destabilizzante dell’intero sistema globale per essere lasciato ad acuirsi. Puoi chiamarlo imposizione di un sistema di apartheid e biasimarci per la violenza, mentre ignori il terrore di stato israeliano, il perseguire i programmi dell’impero americano o le tue nozioni di “scontro di civiltà” : noi, palestinesi, non ci sottometteremo. Non coopereremo. Non staremo al tuo gioco truccato. Alla fine, nonostante tutto il tuo potere, verrai da noi a cercare una pace. Ed allora noi saremo pronti per una pace giusta che rispetti i diritti di tutti i popoli della regione, incluso quello israeliano. Ma non ci vincerai.
Da ebreo israeliano che riesce a vedere come l’Occupazione abbia eroso le fondamenta morali della mia società e, davvero, tutta la mia gente, e come abitante di Israele-Palestina che sa che il mio destino è intimamente connesso con quello dei palestinesi, prego affinché questa conclusione prima o poi arrivi.

Jeff Halper è Il coordinatore del Israeli Commitee Against House Demolitions (ICAHD)

23 marzo 2006

All along the watchtower

In memoria di Iman. Registrazione di un assassinio:
Watchtower
‘C'è una ragazzina. Sta correndo verso est per ripararsi’

Operations room
‘Si tratta di una ragazza sotto i dieci anni?’

Watchtower
‘Una ragazza di circa dieci anni, è dietro quel cumulo ti terra, spaventata a morte’

Captain R (dopo averla uccisa)
‘Qualsiasi cosa si muova in quella zona, anche se di tre anni, deve essere uccisa’




Al capitano "R" viene restituita l'arma, dopo essere stato scagionato mercoledì scorso dalla corte del "Defense Forces's Southern Command".

Al capitano sono stati rimborsati i 2.000 shekel delle spese legali sostenute ed altri 80.000 come "compensation".