14 marzo 2006

Olmert? Non ha detto nulla di nuovo

dal Manifesto del 12-03-06

Olmert? Non ha detto nulla di nuovo
ZVI SCHULDINER
Un'intervista del Primo Ministro provvisorio Olmert al Jerusalem Post sembra aver suscitato reazioni molto più accese fuori da Israele che nel paese. Quanti si sono lasciati entusiasmare dalla demagogia del premier Ariel Sharon e dalla sua ritirata unilaterale da Gaza dovrebbero ripensare alcune questioni fondamentali sulla pace in Medio Oriente. Converrebbe che tutti pensassero bene agli eventi di questi giorni, giacché la politica israeliana, il dogmatismo di Hamas, la politica cieca di Bush e dei suoi accoliti minacciano di lanciare altra benzina sul fuoco della violenza israelo-palestinese. Vorrei «difendere» Olmert. Il Primo Ministro provvisorio di Israele non ha detto nulla di nuovo. Olmert non ha fatto che confermare quanto abbiamo scritto in numerose occasioni sul manifesto: il ritiro unilaterale da Gaza faceva parte di un piano strategico. Per Sharon, Olmert e i loro alleati la vittoria di Hamas è un vero regalo, poiché sembra confermare la felice tesi secondo cui «non ci sono partner possibili».

La ritirata unilaterale da Gaza e la continuazione di questa linea non puntavano a una pace vera, ma a creare le condizioni perché Israele possa esercitare una politica unilaterale con il nulla osta delle potenze occidentali. Ciò significa neutralizzare i piani europei o americani che costringerebbero Israele alle frontiere del 1967, e non rispettare la condizione essenziale di qualunque accordo di pace: ovvero, che non può basarsi su un'imposizione unilaterale dell'occupante. Se questo accadrà, si creeranno i presupposti per la prossima esplosione. La storia è piena di esempi.

Il governo israeliano e i suoi obbedienti esperti militari possono continuare a cianciare sul pericolo di sterminio rappresentato da Hamas, mentre Israele riposa su un esercito potente, un arsenale atomico, e un'economia mille volte più forte. Il terrore di Hamas, condannabile sul piano morale e politico, è lungi dall'essere il mostro che può provocare la scomparsa di Israele, come vanno dicendo al mondo i portavoce del governo israeliano.

La propaganda israeliana pone un serio problema al cittadino pensante, al pacifista coerente. Perché mai tanti credono a storie del tutto infondate? Il pensiero politico occidentale, la stampa, i mezzi di comunicazione sono stati invasi, soprattutto dopo l'11 settembre 2001, dagli stereotipi più strampalati della destra americana. La paura ha trionfato e le concezioni basilari del liberalismo sono state schiacciate dalla linea dura che invita alla forza contro «i mostri mondiali che minacciano la sacra civiltà occidentale e cristiana». Credevamo che i diritti dello stato liberale moderno facessero ormai parte dello sviluppo storico e non ci siamo accorti che bastava molto poco a limitarli o cancellarli.

Non c'è povertà, l'imperialismo è un'invenzione dei dogmatici, lo sfruttamento quotidiano di due miliardi di esseri umani non conta, gli enormi capitali investiti per foraggiare i signori della guerra garantiscono la nostra sicurezza. I crimini, la tortura, le decine di migliaia di vittime
dell'aggressione americana sono il prezzo della libertà e della sicurezza.

Bush mette il mondo a ferro e fuoco e noi, qui, in Medio Oriente, più modesti, con tutto il peso del passato, contribuiremo al nostro piccolo incendio in questo perenne inferno mediorientale. Sagaci politici parleranno di sicurezza e i popoli - sì, i popoli - israeliano e palestinese continueranno a pagare il prezzo terribile del fondamentalismo, delle loro guerre.

O dei fondamentalismi. Hamas dovrà decidere se il problema è come spedire altri giovani nelle braccia delle settanta vergini che li attendono in Paradiso dopo il suicidio esplosivo, grazie al quale avranno ucciso una o due o dieci decine di israeliani. Oppure, se la linea pragmatica esige ciò che Arafat e Abu Mazen e altri hanno considerato percorribile, un compromesso storico fra israeliani e palestinesi.

E gli israeliani che andranno alle urne alla fine del mese dovranno pensare bene al proprio fondamentalismo, che resta l'ostacolo principale a una politica di pace. Il presunto pragmatismo di Sharon o dei suoi successori è solo una ricetta per nascondere l'occupazione. Uno stato palestinese mutilato, finzione di bantustan controllati dall'occupante, non è la pace.

Le ricette unilaterali mascherano l'occupazione. Gli israeliani non credono più a queste panzane. La maggioranza capisce che bisogna lasciare i
territori, che Gerusalemme ha bisogno di un'immaginazione più fervida. Coloro che si facevano delle illusioni con Sharon e i suoi si sono forse domandati che cosa stesse succedendo nella «eterna e unificata capitale di Israele»? Coloro che hanno visto nel Muro dell'Odio una barriera di sicurezza, si sono forse domandati quanta sofferenza, miseria, sfruttamento, dolore e odio crea questo muro? Che cosa ci può essere di sicuro nel relegare nella disperazione il bambino che va a scuola, il contadino che perde le sue terre, colei che deve partorire sotto il fuoco dei soldati, chi perde la possibilità di guadagnarsi il pane?

Olmert non ha detto nulla di nuovo, ma va preso sul serio. L'unilateralità israeliana ci porta una volta di più alla guerra. E i settori più pragmatici
e politici di Hamas dovrebbero spiegare se sono disposti a cercare un'altra strada o se continueranno a essere alleati simbiotici del bellicismo israeliano.