Questione di Posizioni
L'ondata emotiva dell'attentato suicida di Tel Aviv, produce come al solito parole vuote. Estraggo dall'articolo di oggi sul Corriere la circostanza di Fassino che segnerà con ogni probabilità la politica estera del prossimo governo...
[...]
[...]
Un'osservazione lapalissiana come quella di Caruso diventa "posizione minoritarissima". Ciò denuncia il fatto che Fassino regioni in termini di "posizioni", piuttosto che con una semplice analisi. Sul titolo "frutti del male", a che giustificazione si riferisce? I conflitti, per quanto squilibrati, non svincolano dalla causa-effetto. Bisogna giustificarlo?
Riporto di seguito l'articolo completo.
Piero Fassino e la posizione dell'Unione sul Medio Oriente
«Convincere Hamas a riconoscere Israele»
Il segretario Ds: «Condanniamo i kamikaze senza se e senza ma
Bisogna esigere dal governo palestinese la rinuncia al terrorismo»
ROMA - «Un attentato atroce, che fa ripiombare Israele e il Medio Oriente nel dolore e nella sofferenza. La condanna è evidente. Ma non basta. Bisogna dire con chiarezza quanto sia delirante qualsiasi tentativo di giustificare l’azione di un kamikaze. O parlare di autodifesa», dice Piero Fassino, un leader da sempre abituato a difendere le ragioni di Israele anche contro molta sinistra.
Ma Hamas lo ha fatto, Fassino, ha proprio parlato di autodifesa per quanto riguarda i kamikaze...
«È un grave errore. E non può che essere fonte di forte preoccupazione. Naturalmente a nessuno sfugge l’esasperazione che c’è nei territori palestinesi per i lunghi anni di occupazione militare e per una vita quotidiana scandita da check point e incursioni. Ma non si può giustificare l’ingiustificabile. La reticenza di Hamas è ancora più grave se pensiamo ai due fatti importanti avvenuti in Israele. Primo: il ritiro da Gaza e le ipotesi di ritiro unilaterale dalla Cisgiordania di cui si discute da mesi. Secondo: su una piattaforma di pace le elezioni israeliane hanno mostrato una maggioranza nella popolazione e nella Knesset, al di là di come si formerà il Governo».
Qual è la sua linea, Fassino? Tra poco nascerà il governo del centrosinistra, è importante saperlo...
«Hamas non può nemmeno immaginare di rivendicare il diritto all’autodeterminazione dei palestinesi se non riconosce il diritto di Israele a esistere. E a esistere al sicuro. Nel conflitto mediorientale si scontrano non una ragione e un torto ma due ragioni. Dal 1948 al 1990, quando ciascuna delle parti ha negato il diritto dell’altra, ci sono state cinque guerre e un’intifada. Dal 1990 al 1995 il processo di pace è stato possibile perché ciascuno dei due protagonisti ha finalmente accettato che il proprio diritto coesistesse col diritto altrettanto legittimo dell’altro. Occorre tornare a quel clima».
Stessa obiezione di prima: Hamas è intransigente.
«Proprio per questo mi sembra urgentissima un’iniziativa della comunità internazionale del quartetto Usa-Russia-Unione Europea-Onu. Da Hamas occorre esigere il riconoscimento di Israele e una rinuncia chiara e precisa al terrorismo e a ogni forma di copertura o giustificazione. Contemporaneamente va chiesto a Israele un allentamento delle forme di occupazione della Cisgiordania. Il quartetto dovrebbe rivolgersi però anche alla Lega Araba, guidata da un uomo accorto come Amr Moussa, ben consapevole che senza riconoscere Israele le aspirazioni dei palestinesi rischiano di non essere soddisfatte. Un coinvolgimento della Lega garantirebbe Israele e impegnerebbe tutti i Paesi arabi, dando ad Hamas la possibilità di far evolvere più facilmente la sua posizione».
E il futuro governo di centrosinistra? Avrà davvero una posizione «senza se e senza ma» su Hamas?
«Posso riassumerla ancora, come dice lei, "senza se e senza ma". Hamas deve capire che non ci sarà autodeterminazione del popolo palestinese se non ci sarà il riconoscimento dei diritti di Israele. Così come Israele non sarà sicuro del suo futuro se non si approderà a uno Stato palestinese indipendente. Se non si riconoscono le due ragioni in gioco, nessuna delle due sarà sicura. È la posizione di Prodi, Rutelli, D’Alema, Bertinotti.... Il nuovo governo italiano dovrà spingere l’Unione europea a diventare parte attiva del quartetto. Finora lo è stata molto poco. E in generale la comunità internazionale è stata passiva. Si è perso tempo. La stessa vittoria di Hamas è figlia del tempo perduto, della frustrazione palestinese per una pace che non arrivava mai».
Però c’è Francesco Caruso che dice: «Comprendo come l’esasperazione possa portare a utilizzare tutte le forme di lotta estreme». Che ne pensa, Fassino?
«Posizioni minoritarissime. Non avranno alcun peso nella futura politica estera italiana».
Le sottopongo il titolo del «manifesto» sull’attentato: «I frutti del male». Lo condividerebbe?
«È ambiguo. Rischia, anche se non voluta, di apparire come una forma di giustificazione. Che, ripeto, non può esistere».
Sia «Europa» che «Il riformista» hanno contestato le frasi di Prodi su Hamas, poi corrette dopo una precisazione sulla traduzione. Prodi ha comunque detto che ci sono state «aperture di Hamas molto interessanti». «Europa» sostiene: abbiamo pasticciato, su questo punto...
«Bisogna stare attenti a non fare i grilli parlanti. Prodi ha espresso un auspicio comune a tutti, cioè che Hamas sia consapevole che le responsabilità di governo assunte in Palestina impongono il riconoscimento di Israele. E ha auspicato che in Hamas emergano le posizioni più ragionevoli, visto che sappiamo tutti che esiste una dialettica interna al gruppo dirigente palestinese. Tutto qui. Ma un punto dev’essere chiaro. Il nostro dovrà essere un atteggiamento fermo che punti alla persuasione di Hamas».
Persuasione in che senso?
«Il punto non è "punire" Hamas ma persuaderlo che l’obiettivo dell’indipendenza passa per una via ineludibile: il rapporto con Israele». Quale sarà la posizione del nuovo governo sui fondi destinati all’autorità palestinese? Assicurarli o negarli? L’Iran ha già promesso 50 milioni di dollari.. .
«Naturalmente condivideremo le decisioni che si assumono in sede europea, sapendo che anche nel caso dei finanziamenti occorre avere un’azione di pressione intelligente che eviti di buttare la dirigenza palestinese nelle braccia di chi, in cambio di fondi, la sospinge su una linea ancora più estremistica»
A proposito di Israele. Avi Pazner, ex consigliere di Ariel Sharon, ha scritto su «Yedioth Ahronot» che «Berlusconi è stato un amico fedele» e che il governo di centrosinistra guidato da Prodi dovrà «lavorare duro» per ottenere le stesse relazioni. È preoccupato per la freddezza di Israele?
«Penso invece che il governo di centrosinistra, proprio perché crede nel principio dei "due popoli, due Stati, due democrazie", intesserà i migliori rapporti con Israele così come cercherà di farlo con Abu Mazen e il governo di Hamas, fermi restando i punti che ho elencato».
E cosa pensa del nodo iraniano? Proprio con Prodi, l’Italia del centrosinistra aprì nel 1998 le prime porte diplomatiche a Teheran anche per conto dell’Europa. Ma da Khatami le cose sono molto cambiate...
«Mi preoccupa il prevalere di atteggiamenti radicali, estremistici. Le espressioni su Israele di Ahmadinejad sono assolutamente inaccettabili. È giusto che la comunità internazionale esiga garanzie sull’uso civile e pacifico dell’energia nucleare con la possibilità di effettuare i controlli necessari. Ma se si vuole essere ancor più credibili verso Teheran, occorre contemporaneamente rilanciare anche una iniziativa per l’applicazione del Trattato di non proliferazione nucleare e per la riduzione degli arsenali dei Paesi che hanno già armi nucleari. Cina, Pakistan e India appartengono allo stesso scacchiere internazionale dell’Iran. Se vogliamo che Teheran accetti le nostre richieste, e io ne sono convintissimo, non possiamo dare l’impressione di agire su un doppio standard. Mi piacerebbe se l’Italia giocasse un ruolo di punta in questo campo. Prodi e l’Iran? Visti i positivi precedenti diplomatici, possiamo avere una carta in più per farci ascoltare. Naturalmente in assoluta sintonia con le iniziative dell’Onu e della comunità internazionale».
Ma gli Usa premono sull’Onu per una soluzione «forte». Come si comporterebbe in quel caso il governo italiano?
«Nessuno al mondo pensa che il ricorso alla forza con l’Iran sia una soluzione realistica. Se l’Iraq è stata un’avventura, con l’Iran rischiamo una tragedia di proporzioni abissali. Va scongiurata. Certo non restando fermi, ma con una forte azione politica che usi tutti gli strumenti possibili di pressione e persuasione. La troika europea deve muoversi. Accanto a lei, e con decisione, anche l’Italia».
Paolo Conti
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Però c’è Francesco Caruso che dice: «Comprendo come l’esasperazione possa portare a utilizzare tutte le forme di lotta estreme». Che ne pensa, Fassino?
«Posizioni minoritarissime. Non avranno alcun peso nella futura politica estera italiana».
Le sottopongo il titolo del «manifesto» sull’attentato: «I frutti del male». Lo condividerebbe?
«È ambiguo. Rischia, anche se non voluta, di apparire come una forma di giustificazione. Che, ripeto, non può esistere».
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Un'osservazione lapalissiana come quella di Caruso diventa "posizione minoritarissima". Ciò denuncia il fatto che Fassino regioni in termini di "posizioni", piuttosto che con una semplice analisi. Sul titolo "frutti del male", a che giustificazione si riferisce? I conflitti, per quanto squilibrati, non svincolano dalla causa-effetto. Bisogna giustificarlo?
Riporto di seguito l'articolo completo.
Piero Fassino e la posizione dell'Unione sul Medio Oriente
«Convincere Hamas a riconoscere Israele»
Il segretario Ds: «Condanniamo i kamikaze senza se e senza ma
Bisogna esigere dal governo palestinese la rinuncia al terrorismo»
ROMA - «Un attentato atroce, che fa ripiombare Israele e il Medio Oriente nel dolore e nella sofferenza. La condanna è evidente. Ma non basta. Bisogna dire con chiarezza quanto sia delirante qualsiasi tentativo di giustificare l’azione di un kamikaze. O parlare di autodifesa», dice Piero Fassino, un leader da sempre abituato a difendere le ragioni di Israele anche contro molta sinistra.
Ma Hamas lo ha fatto, Fassino, ha proprio parlato di autodifesa per quanto riguarda i kamikaze...
«È un grave errore. E non può che essere fonte di forte preoccupazione. Naturalmente a nessuno sfugge l’esasperazione che c’è nei territori palestinesi per i lunghi anni di occupazione militare e per una vita quotidiana scandita da check point e incursioni. Ma non si può giustificare l’ingiustificabile. La reticenza di Hamas è ancora più grave se pensiamo ai due fatti importanti avvenuti in Israele. Primo: il ritiro da Gaza e le ipotesi di ritiro unilaterale dalla Cisgiordania di cui si discute da mesi. Secondo: su una piattaforma di pace le elezioni israeliane hanno mostrato una maggioranza nella popolazione e nella Knesset, al di là di come si formerà il Governo».
Qual è la sua linea, Fassino? Tra poco nascerà il governo del centrosinistra, è importante saperlo...
«Hamas non può nemmeno immaginare di rivendicare il diritto all’autodeterminazione dei palestinesi se non riconosce il diritto di Israele a esistere. E a esistere al sicuro. Nel conflitto mediorientale si scontrano non una ragione e un torto ma due ragioni. Dal 1948 al 1990, quando ciascuna delle parti ha negato il diritto dell’altra, ci sono state cinque guerre e un’intifada. Dal 1990 al 1995 il processo di pace è stato possibile perché ciascuno dei due protagonisti ha finalmente accettato che il proprio diritto coesistesse col diritto altrettanto legittimo dell’altro. Occorre tornare a quel clima».
Stessa obiezione di prima: Hamas è intransigente.
«Proprio per questo mi sembra urgentissima un’iniziativa della comunità internazionale del quartetto Usa-Russia-Unione Europea-Onu. Da Hamas occorre esigere il riconoscimento di Israele e una rinuncia chiara e precisa al terrorismo e a ogni forma di copertura o giustificazione. Contemporaneamente va chiesto a Israele un allentamento delle forme di occupazione della Cisgiordania. Il quartetto dovrebbe rivolgersi però anche alla Lega Araba, guidata da un uomo accorto come Amr Moussa, ben consapevole che senza riconoscere Israele le aspirazioni dei palestinesi rischiano di non essere soddisfatte. Un coinvolgimento della Lega garantirebbe Israele e impegnerebbe tutti i Paesi arabi, dando ad Hamas la possibilità di far evolvere più facilmente la sua posizione».
E il futuro governo di centrosinistra? Avrà davvero una posizione «senza se e senza ma» su Hamas?
«Posso riassumerla ancora, come dice lei, "senza se e senza ma". Hamas deve capire che non ci sarà autodeterminazione del popolo palestinese se non ci sarà il riconoscimento dei diritti di Israele. Così come Israele non sarà sicuro del suo futuro se non si approderà a uno Stato palestinese indipendente. Se non si riconoscono le due ragioni in gioco, nessuna delle due sarà sicura. È la posizione di Prodi, Rutelli, D’Alema, Bertinotti.... Il nuovo governo italiano dovrà spingere l’Unione europea a diventare parte attiva del quartetto. Finora lo è stata molto poco. E in generale la comunità internazionale è stata passiva. Si è perso tempo. La stessa vittoria di Hamas è figlia del tempo perduto, della frustrazione palestinese per una pace che non arrivava mai».
Però c’è Francesco Caruso che dice: «Comprendo come l’esasperazione possa portare a utilizzare tutte le forme di lotta estreme». Che ne pensa, Fassino?
«Posizioni minoritarissime. Non avranno alcun peso nella futura politica estera italiana».
Le sottopongo il titolo del «manifesto» sull’attentato: «I frutti del male». Lo condividerebbe?
«È ambiguo. Rischia, anche se non voluta, di apparire come una forma di giustificazione. Che, ripeto, non può esistere».
Sia «Europa» che «Il riformista» hanno contestato le frasi di Prodi su Hamas, poi corrette dopo una precisazione sulla traduzione. Prodi ha comunque detto che ci sono state «aperture di Hamas molto interessanti». «Europa» sostiene: abbiamo pasticciato, su questo punto...
«Bisogna stare attenti a non fare i grilli parlanti. Prodi ha espresso un auspicio comune a tutti, cioè che Hamas sia consapevole che le responsabilità di governo assunte in Palestina impongono il riconoscimento di Israele. E ha auspicato che in Hamas emergano le posizioni più ragionevoli, visto che sappiamo tutti che esiste una dialettica interna al gruppo dirigente palestinese. Tutto qui. Ma un punto dev’essere chiaro. Il nostro dovrà essere un atteggiamento fermo che punti alla persuasione di Hamas».
Persuasione in che senso?
«Il punto non è "punire" Hamas ma persuaderlo che l’obiettivo dell’indipendenza passa per una via ineludibile: il rapporto con Israele». Quale sarà la posizione del nuovo governo sui fondi destinati all’autorità palestinese? Assicurarli o negarli? L’Iran ha già promesso 50 milioni di dollari.. .
«Naturalmente condivideremo le decisioni che si assumono in sede europea, sapendo che anche nel caso dei finanziamenti occorre avere un’azione di pressione intelligente che eviti di buttare la dirigenza palestinese nelle braccia di chi, in cambio di fondi, la sospinge su una linea ancora più estremistica»
A proposito di Israele. Avi Pazner, ex consigliere di Ariel Sharon, ha scritto su «Yedioth Ahronot» che «Berlusconi è stato un amico fedele» e che il governo di centrosinistra guidato da Prodi dovrà «lavorare duro» per ottenere le stesse relazioni. È preoccupato per la freddezza di Israele?
«Penso invece che il governo di centrosinistra, proprio perché crede nel principio dei "due popoli, due Stati, due democrazie", intesserà i migliori rapporti con Israele così come cercherà di farlo con Abu Mazen e il governo di Hamas, fermi restando i punti che ho elencato».
E cosa pensa del nodo iraniano? Proprio con Prodi, l’Italia del centrosinistra aprì nel 1998 le prime porte diplomatiche a Teheran anche per conto dell’Europa. Ma da Khatami le cose sono molto cambiate...
«Mi preoccupa il prevalere di atteggiamenti radicali, estremistici. Le espressioni su Israele di Ahmadinejad sono assolutamente inaccettabili. È giusto che la comunità internazionale esiga garanzie sull’uso civile e pacifico dell’energia nucleare con la possibilità di effettuare i controlli necessari. Ma se si vuole essere ancor più credibili verso Teheran, occorre contemporaneamente rilanciare anche una iniziativa per l’applicazione del Trattato di non proliferazione nucleare e per la riduzione degli arsenali dei Paesi che hanno già armi nucleari. Cina, Pakistan e India appartengono allo stesso scacchiere internazionale dell’Iran. Se vogliamo che Teheran accetti le nostre richieste, e io ne sono convintissimo, non possiamo dare l’impressione di agire su un doppio standard. Mi piacerebbe se l’Italia giocasse un ruolo di punta in questo campo. Prodi e l’Iran? Visti i positivi precedenti diplomatici, possiamo avere una carta in più per farci ascoltare. Naturalmente in assoluta sintonia con le iniziative dell’Onu e della comunità internazionale».
Ma gli Usa premono sull’Onu per una soluzione «forte». Come si comporterebbe in quel caso il governo italiano?
«Nessuno al mondo pensa che il ricorso alla forza con l’Iran sia una soluzione realistica. Se l’Iraq è stata un’avventura, con l’Iran rischiamo una tragedia di proporzioni abissali. Va scongiurata. Certo non restando fermi, ma con una forte azione politica che usi tutti gli strumenti possibili di pressione e persuasione. La troika europea deve muoversi. Accanto a lei, e con decisione, anche l’Italia».
Paolo Conti
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